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La storia siamo noi, nessuno si senta offeso; Siamo noi questo prato di aghi sotto al cielo. La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso. La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da masticare. E poi ti dicono: "Tutti sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera". Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso in casa, quando viene la sera; Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone La storia entra dentro le stanze e le brucia, la storia dà torto e dà ragione. La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere. E poi la gente (perché è la gente che fa la storia), quando si tratta di scegliere e di andare, te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare: quelli che hanno letto milioni di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare; Ed è per questo che la storia dà i brividi, perché nessuno la può fermare. La storia siamo noi, siamo noi padri e figli. Siamo noi, bella ciao, che partiamo. La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano. La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.
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Venivano da lontano, avevano occhi e cani, avevano stellette e guanti e paura. Erano tre, erano quattro, erano più di ventiquattro erano il sale della terra, erano il fuoco della guerra. Erano il segno della croce, erano cani senza voce, erano denti, erano denti senza bocca, erano fuoco che scotta, erano la vita che rintocca. Erano tre, erano quattro, avevano sassi. Avevano cuori, avevano parrucche e occhiali e pistole e tamburi e silenziatori. Avevano linguaggio e chitarre, e da dietro le sbarre ridevano e pure parlavano. Avevano alcuni mogli e figli, che da dietro un vetro adesso, li salutavano. Avevano certo dei mandanti, ed erano tanti, senza né viso né nome e senza prove. Alcuni sapevano tutto e tutto ricordavano e andavano, ma non dicevano dove. Altri giuravano e spergiuravano e tutto confessavano, nome e cognome. Tutti sapevano tutto di tutti perfino il numero, ma non dicevano come. Venivano da lontano, avevano occhi e cani. Avevano stellette e guanti e paura. Erano tre, erano quattro, erano più di ventiquattro, erano dieci, o diecimila. Erano bocca ed occhi, scacchi e tarocchi, erano occhi e brace, erano giovani e forti, erano giovani vite, dentro una fornace.
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I cowboys vanno a cavallo, per i Canyons della vita, La loro gloria è una cintura d'oro e una fibbia arrugginita. Il deserto è la loro stella, la loro stella non ha famiglia, e il futuro per loro non ha mattino il loro vino non ha bottiglia. Il deserto è la loro stella, la loro stella fà che non tramonti. E il futuro per loro è una cosa bella, che quando arriva ci si fanno i conti. I cowboys sono animali veloci, quando ritornano già vanno via, le loro strade non hanno incroci, la loro vita è una ferrovia. Che quando riparte il treno, tutti armati fino ai denti, ti salutano coi fucili, a cavalcioni dei respingenti. I cowboys vanno a cavallo, nell'Arizona dei nostri cuori, non hanno figli e non hanno padri, non hanno armi e non hanno amori. All'avventura vanno da soli, così si perdono raramente sono cuori nella deriva, sono anime nella corrente. E quando ritorna il treno che è sera e il futuro si fa presente, prima dei cowboys chissà se c'era, ma dopo i cowboys non c'è più niente.
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Ciao ciao, andarsene è un peccato però ciao ciao bella donna che alla porta che mi saluti e baci abbracci e sputi, e io che sputo amore, io che non sputo mai. Ciao ciao, andarsene era scritto però ciao ciao bella ragazza che non m'hai capito mai già parte il treno, sventola il fazzoletto amore mio, però, piangi di meno. Cioa ciao, ciao amore ciao, amore ciao. Guarda che belli i fiori in quella città. Ciao amore, ciao, amore come va? Ciao amore, ciao, amore ciao. Ciao ciao, guarda che belli i fiori in quella città, che mai mi ha visto e mai nemmeno mi vedrà. Guarda che mare, guarda che barche piccole che vanno, a navigare.
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Vanno a due a due i poeti verso chissà che luna amano molte cose, forse nessuna. Alcuni sono ipocriti e gelosi come gatti, scrivono versi apocrifi, faticosi e sciatti. Sognano di vittorie e premi letterari pugnalano alle spalle gli amici più cari. Quando ne vedono uno ubriaco in un fosso, per salvargli la vita, gli tirano addosso. Però quando si impegnano lo fanno veramente, convinti come sono di servire alla gente. E firmano grandi appelli per la guerra e la fame, vecchi mosconi ipocriti, vecchie puttane. Vanno a due a due i poeti e poi ritornano quasi sempre, come gli alberi di Natale quando arriva dicembre. Si specchiano nelle vetrine dentro ai loro successi, poveri poeti soliti, quasi sempre gli stessi. Però l'avvenimento, il più sensazionale e quando in televisione te li vedi arrivare, profetici e poetici, sportivi ed eleganti pubblicare loro stessi come fanno i cantanti. Vanno a due a due i poeti, traversano le nostre stagioni e passano poeti brutti e poeti buoni. Ma quando fra tanti poeti ne trovi uno vero, è come partire lontano, come viaggiare davvero.
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Non mi ricordo se c'era la luna e né che occhi aveva il ragazzo, ma mi ricordo quel sapore in gola e l'odore del mare, come uno schiaffo. A Pa' E c'era Roma così lontana E c'era Roma così vicina E c'era quella luce che ti chiama, come una stella mattutina. A Pa', a Pa' Tutto passa e il resto va. E voglio vivere come i gigli nei campi, come gli uccelli nel cielo campare. E voglio vivere come i gigli nei campi e sopra i gigli nei campi volare.
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Sotto le stelle del Messico a trapanàr
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Sotto le stelle del Messico a trapanàr, nelle miniere di petrolio dimenticàr, e nelle sere quando scende la sera andàr, Sotto le stelle del Messico a trabajàr. Sotto la luna dei tropici a innamoràr, dentro le ascelle dei poveri a respiràr, Sul pavimento dei treni a vomitàr, e quando arriva lo sciopero a scioperàr. E quando arriva la musica a emozionàr, e quando arriva le femmine a immaginàr, e intanto arrivano i treni e si va si va, sotto le stelle del Messico a passeggiàr. E quando arrabbiano i diavoli a spaventàr, e quando tornano gli angeli a ringraziàr, e quando suona l'armonica a festeggiàr, e quando torna Domenica a lavoràr. Sotto le stelle del Messico a ritornàr, e quando arriva le nuvole a rincasàr, e quando piove nel fango a trasumanàr, Sotto le stelle del Messico a naufragàr.
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Mi fa male una gamba, la schiena è una carcassa ho una bestia alla gola, che cammina e non passa. Ho le stelle negli occhi, e le sento scoppiare Ferite sui ginocchi e voglia di pregare. Piccoli dolori, che vivono dentro ai cuori, non vogliono dottori, piccoli dolori. Scusate se ho fretta, ma devo scappare, ho dei cani nella testa, stanno per abbaiare. L'inferno nello stomaco e nelle orecchie il rumore. E da qualche altra parte qualche altro dolore. Passano ad uno ad uno, tutti i miei vizi in croce, e ti vorrei parlare, ma ho perduto la voce. Piccoli dolori, che passano nei nostri cuori. Commessi viaggiatori, piccoli dolori. Non riesco a dormire ma non posso svegliarmi, ho la notte alla finestra e continuo a girarmi. Ho un vuoto nel futuro, un morso nella memoria cicala nel cervello, granchio fra le lenzuola. Piccoli dolori, che scavano dentro ai cuori, non serbano rancori, piccoli dolori. Piccoli dolori, passano piano piano. Fanno ciao con la mano, piccoli dolori.
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Vennero a galla finalmente, alcuni coriandoli di allegria, e certe note dell'orchestra che i pesci non vollero portare via. Erano belle quelle note che pure il mare le perdonò, e si arenarono una mattina sulla spiaggia di New York. Scusate ma del Titanic, ancora vi devo parlare. E delle cose rimaste a galla sull'azzurrissimo mare. Delle risate e delle preghiere, dell'incredibile esplosione. delle notizie arrivate a terra, poche notizie e nemmeno buone. Erano belle erano tonde, e rotolavano sulle onde. Come le note che ho detto prima, insieme al nome di una bambina. Senza nessuna mediazione, praticamente senza padrone. Si costruivano in sintonia, e intanto il mare le portava via. Si disse infatti che la nave, viaggiava ancora in buona salute, e che le vite, le vite umane, non, non erano perdute. Erano belle erano tante, e poi nessuno le reclamava, insieme al nome della bambina e di suo padre che la chiamava.
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Venezia sta sull'acqua, manda cattivo odore. La radio e i giornalisti dicono sempre: Venezia muore! Cadono tutte le stelle, si spengono una ad una, e sembrano caramelle che si sciolgono sulla laguna. Cadono tutte le stelle e tu lasciale cadere, lascia che si nascondino se non le vuoi vedere. Venezia sta sull'acqua e piano piano muore, il cielo sopra le fabbriche, cambia colore. Le nuvole sono fumo sopra Marghera, dove non c'è nessuno, nessuno esce la sera. Mentre al Lido davanti al cinema pastori ed operai, fanno a gara su quelle gondole che non avevano preso mai, e navigano fino all'Africa, senza motore, fino a che finisce il Cinema e ricomincia il rumore. Venezia sta sull'acqua e muore piano piano. Un uomo sotto al cappotto nasconde un coltello ed un geranio. Galleggiano i nostri cuori, come isole per la via. Venezia luogo comune della malinconia.
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